Editoriale
Pescara città di mare, degli scambi, città che si muove? O Pescara provincia, periferia, confine? Difficile dirlo.
A Pescara è nata Jonathan. Diritti in movimento, associazione che intende mettersi in rete per affermare un diritto elementare, quello all’emotività, a partire dall’espansione di quelli degli omosessuali (usiamo solo per sintesi la definizione omosessuali, ma includiamo gay e lesbiche, bisessuali, transessuali e transgender, cioè il mondo GLBTT, quel pezzo di società alla quale ormai tutte le stime attribuiscono tra il 5 e il 10% della popolazione).
L’associazione ora discute. Emergono idee e anche racconti.
Pescara, allora, è di volta in volta un territorio abbastanza libero e sufficientemente vivace, oppure un ambito un po’ stretto dove il diritto all’emotività è confinato.
In Pescara, o nella sua area metropolitana, ci sono diversi luoghi di aggregazione omosessuale.
A partire dal Phoenix, dove Jonathan cura una rassegna di film che in vari modi riguardano la sensibilità e l’esperienza omosessuale (si proiettano il mercoledì sera).
I locali (locali, non strade) evidentemente gay o gay friendly sono almeno quattro e questo è un fatto importante, un passo avanti. Ma, dal disporre di luoghi di aggregazione – cioè di riconoscimento e auto/riconoscimento e di socializzazione – al disporre di tutti i diritti di strada ce n’è molta da fare.
Molti della comunità omosessuale (ma è una comunità?) hanno trovato forme di incontro e aggregazione e questo, in molti casi, significa socialità e sviluppo di relazioni profonde (e non è poco).
In molti, quantomeno, hanno trovato l’occasione per incontri magari occasionali ma davvero necessari.
Ma per quante persone GLBTT l’identità sessuale è ancora qualcosa da non mostrare?
Per quanti esiste una doppia vita, qualcosa che sta al di fuori delle relazioni sociali e, a volte, anche dei rapporti di amicizia? Chi scrive (cioè Jonathan, questi appunti sono collettivi) conosce in parte anche questa dimensione (e vuole uscirne).
Jonathan non vuole infilarsi nella vita altrui.
Ci interessa capire se ci sono modi per accelerare l’affermazione del principio sull’esercizio dei diritti naturali che già due secoli fa veniva sancito con la Rivoluzione francese, ma che ancora non è pienamente applicato e la cui mancata applicazione ci riguarda molto direttamente.
È abbastanza chiaro che una buona parte di noi, dei diritti che potremmo definire più intimi (e che non nuocciono ad alcuno) conoscono per lo più i limiti.
Limiti che non trovano alcuna giustificazione e che, dunque, sono inaccettabili. Limiti forti. Pesanti perché neanche vengono tracciati. Semplicemente ci sono e sono fatti quasi sempre di pesanti silenzi.
Un esempio? Abbiamo spulciato i programmi elettorali dei sindaci e dei partiti che partecipano alle elezioni comunali del 24 e 25 maggio e tutti o quasi, in vario modo parlano di qualità della vita, della valorizzazione della dimensione sociale, di diritti.
Forse è meglio che la condizione omosessuale non caschi dentro i programmi elettorali per Pescara (potrebbe anche cascarci male…). Ma che quasi nessuno accenni a una proposta molto semplice, cioè il registro delle unioni civili – un piccolo strumento per garantire almeno un po’ di uguaglianza effettiva alle coppie di fatto (che oltretutto non necessariamente sono omosessuali!) – ci sembra una prova della persistenza di quei limiti.
Per farla breve: il diritto all’emotività è sempre stato confinato e se è vero che, progressivamente, lo si sta liberando, è anche vero che un tabù persistente riguarda l’emotività delle persone omosessuali.
È inutile negarlo. Lo sappiamo e lo sappiamo bene. Prova a pensarci: troverai nella tua esperienza una persona alla quale, anche per un solo istante, avresti davvero voluto parlare dei tuoi affetti, ma con la quale non l’hai fatto e forse mai lo farai, ma non per scelta.
Abbiamo affetti, siamo capaci di amare, la sessualità è per noi una dimensione importante tanto quanto lo è per gli eterosessuali, ma quasi sempre dobbiamo confinare o auto/confinare la nostra sfera emotiva.
Jonathan è un’associazione e un percorso. Nulla è definito. Jonathan è un tentativo di politica.
Cose da fare ce ne sono e forse non sarà facile farle. Ma vale la pena di provare a farle, semplicemente perché conquistare il riconoscimento dei diritti legittimi (e dei più intimi) anche solo di alcuni aiuta a costruire un mondo capace di dare diritti a tutti.
E ce n’è davvero bisogno!