DICO per non dire. Perché dire omosessuale è ancora un mezzo tabù.
Il Governo ha affrontato i PACS. Sotto le bordate della Chiesa, gli attacchi dei difensori della famiglia alla Casini (divorziati ma, a detta loro, proprio per questo consci del senso della vera unione matrimoniale), i veti delle guardie svizzere del programma (ci è toccato anche questo. Così si sono definiti i teodem della Margherita), le ministre alla famiglia e alle pari opportunità hanno trovato il compromesso.
Se è vero che l’Unione ha fatto un passo (ma lo doveva fare, era scritto nel programma), è altrettanto vero che la soluzione è al massimo ribasso. Dunque, forse, è un passo indietro.
I DICO non ci appartengono.
Ci sono estranei, ma lo sono perché ancora ci estraniano dalla società.
L’incipit del decreto sembra fatto per nascondere, o quantomeno per spingerci a nasconderci: l’articolo 1 (ma chi l’ha scritto – il dottor Azzeccagarbugli?) si arruffa al comma 3 in una specifica sulla lettera raccomandata che, per avviare l’agognata convivenza, uno/una degli aspiranti potrebbe inviare all’altro/a in sostituzione della firma congiunta all’anagrafe (la «dichiarazione contestuale»).
All’articolo 4, sull’assistenza in caso di malattia, anziché affermare un semplice principio, cioè il diritto di un partner a prestare cura all’altro in caso di ricovero, si rimanda alla disciplina stabilita dalle singole strutture ospedaliere.
All’articolo 5, se il partner muore o è incapace, l’altro può assumere decisioni se vi è stato un atto scritto (specifico, dunque aggiuntivo rispetto alla formalizzazione della convivenza).
All’articolo 7, Regioni e Province autonome «tengono conto» della convivenza ai fini dell’assegnazione degli alloggi pubblici. Non c’era una definizione più assertiva?
All’articolo 8 si specifica che, in caso di morte, il trasferimento del contratto di locazione al partner può avvenire se vi sono stati tre anni di convivenza. E se la tragica fine della convivenza si verificasse il giorno prima del terzo anniversario?
All’articolo 9 il triennio vale anche per le agevolazioni e la tutela in campo lavorativo.
All’articolo 10 si rimanda, sulle pensioni, al riordino generale della materia. Ma si ribadiscono i criteri del bollino annuale.
All’articolo 11 i tre anni diventano nove sui diritti di successione.
Se prima vi era una discriminazione piena, oggi ce n’è una a metà.
Ci chiediamo però se una mezza discriminazione non valga, per chi la subisce, come una discriminazione intera.
Nell’Italia dove il privato torna ad essere pubblico se è Veronica a scrivere a Silvio, le persone omosessuali non esistono nel Giorno della memoria. L’Abruzzo ha uno statuto che «promuove e garantisce la cultura, il rispetto ed il riconoscimento dei diritti degli animali», ma che laddove «riconosce il valore fondamentale della famiglia come luogo di promozione sociale di sviluppo e tutela della persona» non «promuove il riconoscimento delle altre forme di stabile convivenza affettiva» (questo emendamento è stato infatti bocciato). A Pescara, è accaduto davvero e lo riportò Il Centro il 29 giugno 2006, il sindaco salta un dibattito sui diritti degli omosessuali alla festa della CGIL perché preso da orrore e foga civica nell’incocciarsi strada facendo nell’immondizia fuori da un cassonetto (sindaco, a Pescara non è certo una rarità…).
Ci aspettavamo di entrare in Europa. Entriamo invece nel Partito democratico: molti hanno gioiosamente affermato che il compromesso dei DICO è la prima vera prova di capacità di sintesi del costituendo PD.
Sulla nostra pell…
Jonathan – Diritti in movimento