Amare senza paura
L’ONU l’ha annunciato senza ambiguità. Altro che stabilizzarsi: l’AIDS si espande e lo fa seguendo ed approfondendo sempre più quella “linea di classe” per la quale la gente continua ad essere valutata per quello che ha e non per quello che è.
42 milioni di persone al mondo vivono con l’AIDS e di queste il 95% risiede nel sud del mondo.
La situazione è drammatica in Africa, difficile in Asia, America Latina ed Europa dell’Est. Ma è preoccupante per tutti i sud, anche quelli non geografici ma sociali.
Il 90% dei malati non ha accesso ai farmaci.
In Europa e negli USA il fenomeno sembra stabilizzarsi. Ma ad ammalarsi e a morire sono gli immigrati, i poveri, i precari che, pur accedendo ad alcuni farmaci, deperiscono e muoiono prima per le condizioni generali di vita.
Gli slums crescono a dismisura nel centro opulento del mondo. E cresce anche la precarizzazione di una classe media polverizzata e distrutta dal liberismo selvaggio, che privatizza i servizi (e li peggiora nella qualità e nel costo), taglia le spese sanitarie, scolastiche, culturali e sociali in genere.
Sono geografie vicine. In Italia a fare da Tatcher e Bush ci stanno pensando Berlusconi e Bossi, che al vertice G8 di Genova, nel 2001, barricati nella zona rossa promisero, in coro con gli altri potenti del nord del mondo, aiuti consistenti ai poveri e il taglio del debito dei Paesi del sud, per poi attuare una politica economica che non risolve ma aggrava la fame, la sete, lo sfruttamento bestiale sul lavoro, la morte per malattie come la diarrea, la malaria, o come l’AIDS. Tutte violenze che toccano miliardi di persone. Di farmaci e vaccini per i poveri non ce ne sono, costano ed a volte i paesi del sud non li possono nemmeno produrre come vogliono.
E’ il capitalismo, signori. Quello della morte diseguale dopo una vita diseguale.
Il Brasile di Lula e il Sud Africa di Mandela tentano, anche se debolmente, di rompere insieme ad altri la dittatura delle multinazionali farmaceutiche e l’ideologia mercantile della Banca mondiale o del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio).
Insieme al movimento no global, questi paesi hanno bloccato a Cancun i lavori del WTO e questo sta permettendo a molti altri paesi di non avere più paura e di sfidare le multinazionali farmaceutiche, per produrre in proprio e distribuire gratuitamente ai malati di AIDS i farmaci necessari alla sopravvivenza.
È tanto per chi sa di dover morire perché non può comprare farmaci. È sicuramente molto di più della carità pelosa e interessata o delle chiacchiere su chi avesse propagato il virus diffuse a piene mani. La paura del virus è stata anche instillata come mezzo di controllo sociale, per la repressione delle diversità, per pregiudizio o per volontà di dominio spirituale e materiale sui corpi e sulle sessualità.
Soprattutto da parte di chi, come il Vaticano, di fronte alle migliaia di morti per AIDS persiste nell’osteggiare l’utilizzo dei preservativi.
Quella stessa Chiesa che persiste nella condanna dell’omossessualità, senza neanche riconoscere che le associazioni omosessuali hanno affrontato per prime l’AIDS.
Quella stessa Chiesa che non ha visto le battaglie degli omosessuali per salvare o per far vivere meglio chi ci sta accanto o chi ci sta dentro, per lottare contro le discriminazioni verso gli ammalati di AIDS, il dolore che ti scarna e svuota dentro perché non ha risposte e quello che ti permette invece di scegliere una reazione semplice, quella di amare, il faticoso impegno per ragionare sulla sessualità e l’affettività da sempre negata socialmente.
Tutto questo ed altro hanno però prodotto tanta sedimentazione sociale e coscienza politica.
Oggi, dopo il Gay Pride di Roma del 2000, una consapevolezza nuova colloca i nostri diritti (quelli di una delle tante diversità sessuali, affettive, sociali e politiche esistenti in una società per niente omologata) in un percorso di liberazione entusiasmante.
Liberazione sociale e politica, per nuovi diritti e per nuove affettività.
Liberazione economica ed umana dai ghetti sociali e culturali di chi ci vorrebbe visibili solo nelle discoteche, nei battuage, nelle saune, nei bar per soli… Come se non fossimo attraversati anche noi e diversamente attraversanti nel tutto, dal lavoro e dalla famiglia, dalla scuola alla chiesa, dal campo sportivo all’impegno politico.
Liberazione dagli stereotipi di un mondo gay pre-confezionato su misura per una accettabile collocazione sociale, che non dia fastidio alle risacche di perbenismo e di integralismo laico o religioso che sia.
Liberazione come processo di conoscenza e di socialità. Perché solo in un mondo fatto di tanti mondi e del reciproco riconoscimento di diversità liberanti e non omologanti si può amare veramente.
La prevenzione, la consapevolezza dei rischi che corriamo quando la testa ed il cuore non li usiamo, l’aiuto verso le persone che hanno contratto la malattia interessandoci più del fatto che viva e che lo faccia nei migliore dei modi che del come è accaduto, la solidarietà verso fratelli e sorelle di altre parti del pianeta con oggettive maggiori difficoltà, la coscienza che una epidemia mondiale la si risolve solo globalmente, la lotta contro l’oscurantismo in campo medico e religioso, la voglia e la gioia che sentiamo tutte le volte che i nostri occhi incontrano un altro mondo in quello degli altri, di tutti gli altri, tutto questo ed altro ancora ci aiuterà ad uscire dal problema AIDS.
Usciremo da tutti gli AIDS del corpo e della mente mentre cambiamo il mondo e sopratutto amando, amando, amando. Senza paura.